Il duomo di Milano, paracetamolo sempre pronto per…le tue tonsille
Così recita una famosa canzone del cantante indie Calcutta, ma questo non vuol dire che non nasconda insidie.
Molti sanno che Tachipirina® è il nome commerciale del paracetamolo, di cui esistono molte alternative di farmaci generici (o equivalenti). Pochi però sanno che il paracetamolo, chiamato meno comunemente anche acetaminofene, è il prodotto del metabolismo umano di una sostanza piuttosto tossica: l’acetanilide, derivata dall’anilina.
La scoperta
Il paracetamolo fu sintetizzato per la prima volta nel 1878 da Harmon Northrop Morse per riduzione di p-nitrofenolo con stagno in acido acetico glaciale, secondo la seguente reazione:
2 HO-C6H4-NO2 + 2 CH3COOH + 3 Sn → 2 HO-C6H4-NH-COCH3 + 3 SnO2 (insolubile)
Dove l’azione riducente di metallo e acido converte il p-nitrofenolo a p-amminofenolo, che viene immediatamente acetilato. Inizialmente si usavano acetanilide e fenacetina, derivati dell’anilina, come antipiretici di elezione, ma essi avevano forti conseguenze tossiche sul paziente. Solo nel 1948 si scoprì che l’acetanilide viene metabolizzata dall’organismo con un processo di ossidazione e trasformata in due sostanze: il paracetamolo (in chimica: 4-acetammido-fenolo), che è il vero responsabile dell’azione terapeutica e in un altro prodotto, l’anilina. Quest’ultima è una sostanza estremamente tossica e causa la metaemoglobinemia (una forma di anemia in cui l’emoglobina viene danneggiata e resa incapace di trasportare l’ossigeno ai tessuti, con conseguente “cianosi”); l’anilina porta inoltre danni a fegato e reni.
Rispetto ai suoi precursori, non più usati in farmacologia, il paracetamolo presentava due vantaggi importanti:
- Non è tossico (a dosi normali)
- È più facile da sintetizzare.
Rispetto ai FANS, inoltre, non presenta gastrolesività e nefrotossicità.
Dal 1949 il paracetamolo ha iniziato ad essere usato come farmaco; è l’unico analgesico derivato dall’anilina che si continui ad usare in clinica.
Un antenato della tachipirina®
Il nome commerciale dell’acetanilide, questo primo precursore primordiale antipiretico e antidolorifico, era “antikamnia” (letteralmente “contrario al dolore”). L’Antikamnia venne commercializzata nel fine ‘800 in America ed Europa, con campagne pubblicitarie “molto aggressive”, dalla omonima compagnia e proposta in varie formulazioni e composizioni che avevano diverse indicazioni terapeutiche. Le varie specialità in cui era proposta l’Antikamnia comprendevano, a volte in misura molto variabile, delle sostanze farmacologicamente molto potenti come la codeina, chinino e persino morfina ed eroina (sostanze estratte o prodotte dall’oppio). Queste sostanze erano aggiunte allo scopo di potenziarne gli effetti antidolorifici miracolosi, ma se ne trascuravano o si minimizzavano gli effetti tossici, particolarmente evidenti in caso di abuso, come la dipendenza, l’assuefazione o la pericolosa inibizione del processo autonomo della respirazione. Molti furono i casi di intossicazione severa e perfino di morte. Ironia della sorte volle che, per commercializzare in modo impattante l’Antikamnia, venne pubblicata una serie di calendari ad effetto macabro, raffiguranti nei vari mesi alcuni scheletri intenti al lavoro e al gioco. Sicuramente erano del tutto inconsapevoli del fatto che lo stesso prodotto che stavano reclamizzando si sarebbe successivamente dimostrato in molti casi fatale!
Epidemiologia
L’acetaminofene (paracetamolo) è contenuto in più di 100 prodotti da banco. Questi comprendono preparazioni per bambini in sciroppo, compresse e capsule e preparati per la tosse o il raffreddore. Anche numerosi farmaci prescrivibili contengono acetaminofene. Di conseguenza, è frequente l’assunzione in dosi eccessive di acetaminofene. In tutta Italia le intossicazioni – provocate da farmaci e da non farmaci – superano le 44mila all’anno e che il 45% di queste interessa bambini sotto i 6 anni.
Come funziona
Il paracetamolo ha effetti analgesici, aumentando la soglia agli stimoli dolorosi, antipiretici e lievi effetti antinfiammatori. Esso è ben tollerato e si associa ad una bassa incidenza di effetti collaterali gastro intestinali, tuttavia, un sovradosaggio acuto può causare gravi danni epatici e i casi di intossicazione accidentale o deliberata sono in continuo aumento. La sua azione si esplica inibendo, alla dose comunemente utilizzata (1000 mg), appena il 50% di *COX 1 e 2; al di fuori dell’inibizione della COX-1, sembra che esista una terza isoforma di ciclo-ossigenasi espressa a livello cerebrale (COX-3) che potrebbe essere il bersaglio preferenziale del paracetamolo e di altri antipiretici. L’inibizione di questo enzima, che è stato dimostrato essere una variante molecolare della COX-1, potrebbe dar conto di una parte degli effetti analgesici e antifebbrili centrali mediati dal paracetamolo nell’uomo.
*Le appena citate COX (Cicloossigenasi) sono degli enzimi che permettono la trasformazione dell’acido arachidonico in Prostaglandine e Trombossani, mediatori dei processi infiammatori e di tanto altro.
Frequentemente il paracetamolo è assunto per via orale e raggiunge il picco di concentrazione plasmatica (ovvero la quantità di paracetamolo disciolta in un volume noto di plasma) entro 30 60 minuti e l’emivita plasmatica (tempo necessario perché la concentrazione plasmatica si riduca della metà) è pari a circa 2 ore. Il farmaco si distribuisce in maniera relativamente uniforme alla maggior parte dei liquidi biologici. Circa il 90-100% del farmaco può essere rinvenuto nelle urine entro il primo giorno al dosaggio terapeutico, principalmente in seguito a coniugazione epatica con l’acido glucuronico (circa il 60%), l’acido solforico (ca il 35%) o la cisteina (ca il 3%); si riscontrano anche piccole quantità di metaboliti idrossilati e deacetilati. Una piccola parte subisce una N idrossilazione mediata dalla famiglia del citocromo P450 (CYP2E1, CYP1A2, CYP3A4 e sottofamiglie) a formare N acetil p benzochinoneimina, un composto intermedio altamente reattivo. Questo metabolita reagisce normalmente con i gruppi sulfidrici del glutatione e diventa così inattivo (ma vedremo che NON è sempre così!)
Quando il paracetamolo diventa pericoloso?
Viene considerato tossico un sovradosaggio orale acuto ≥ 150 mg/kg (circa 7,5 g nei soggetti adulti) nelle 24 h.
Più in generale non si dovrebbe assumere una quantità di paracetamolo superiore ai 4 gr nelle 24 h.
L’eccesso di paracetamolo, e quindi di N acetil p benzochinoneimina, satura la capacità antiossidante del glutatione ridotto (GSH, ovvero legato ad un atomo di idrogeno) e scatena delle reazioni a catena ossidative su più componenti intra ed extracellulari a livello epatico. Le strutture più colpite sono i mitocondri (che sono conosciuti al mondo come “la centrale elettrica della cellula”, poiché sono loro a fornire energia affinché quest’ultima continui a vivere), il reticolo endoplasmatico, il sistema autofagico e i processi di infiammazione e riparazione cellulare del fegato. Tutto questo può condurre ad una epatite fulminante (passando, a volte, per fasi intermedie) che richiede il trapianto di fegato per poter essere risolta.
Fattori predisponenti l’intossicazione
- Eccessiva ingestione di paracetamolo in maniera volontaria o involontaria (questa pratica è comune tra i soggetti che tentano il suicidio).
- Eccessiva attività del citocromo P450 (questa è una caratteristica intrinseca del singolo)
- Diminuita capacità di glucuronazione o solforazione
- Deplezione delle riserve di glutatione
- Ritardo tra l’ingestione del paracetamolo e la somministrazione dell’antidoto
- L’uso di prodotti erboristici e medicinali: alcuni di questi aumentano l’attività del CYP2E1, alcuni esempi sono la carbamazepina, l’isoniazide e la rifampicina.
- Età: il metabolismo del paracetamolo sembra essere età dipendente, i pazienti anziani sono più propensi a sviluppare epatotossicità a seguito di una overdose, mentre i bambini con età minore dei 5 anni sembrano essere meno suscettibili alla tossicità del farmaco. Gli adulti con una età maggiore di 40 anni hanno una possibilità maggiore di andare incontro a insufficienza epatica, trapianto di fegato, e morte dovuta all’overdose.
- Tabacco: contiene attivatore del CYP1A2 e incrementa il metabolismo ossidativo. La mortalità sembra maggiore nei fumatori che in altri soggetti, anche alcolisti.
Manifestazioni cliniche
Il decorso clinico dell’intossicazione è diviso in quattro stadi sequenziali:
- Stadio 1 (da 50 minuti alle 24 ore dopo l’ingestione): il paziente può manifestare nausea, vomito, diaforesi, pallore, letargia e malessere generale. Molti rimangono comunque asintomatici. Gli esami di laboratorio risultano nella norma. Dopo una overdose massiccia di paracetamolo, la depressione del sistema nervoso e l’acidosi metabolica con elevato gap anionico possono essere presenti, anche se raramente.
Questa è una presentazione clinica che può dare problemi di diagnosi differenziale con una moltitudine di patologie.
- Stadio 2 (da 24 a 72 ore dopo l’ingestione): gli indici di alterazione epatica iniziano a salire nelle indagini di laboratorio e si può osservare, occasionalmente, nefrotossicità. Anche se in questa fase i sintomi sembrano risolversi, a livello subclinico è già in corso il danno epatico.
Se la fase due non viene riconosciuta il paziente può sviluppare dolore nel quadrante superiore destro dell’addome con epatomegalia. Se il paziente è un alcolista cronico è possibile osservare una contestuale pancreatite.
- Stadio 3 (da 72 a 96 ore dopo l’ingestione): i sintomi della fase 1 riappaiono insieme all’ittero, confusione, forte elevazione degli indici di funzionalità epatica, ammoniemia e diatesi del sangue. La gravità dell’epatotossicità è data da valori di AST e ALT > 10,000 UI/L, allungamento del PT/INR, ipoglicemia, acidosi lattica e livello di bilirubina totale oltre i 4.0 mg/dl.
A questo nel 10-25% dei casi si accompagna una insufficienza renale. L’exitus è possibile in questa fase per insufficienza multiorgano.
- Stadio 4 (da 4 giorni a 2 settimane dopo l’ingestione): i pazienti che sopravvivono alla fase 3 entrano in una fase di recupero che dura dai 4 ai 7 giorni dopo l’overdose. I cambiamenti istologici variano dalla citolisi alla necrosi tubulare. La regione centrolobulare è coinvolta maggiormente perché sede con maggior presenza del CYP2E1 e il sito di massima produzione dell’N acetil p benzochinoneimina.
Diagnosi e trattamento
- Dosaggio dei livelli plasmatici di acetaminofene (paracetamolo)
- Nuovi biomarkers come miR 122, HMGB1 e K18 sono stati utilizzati nelle fasi precoci, ovvero, quando i markers di alterazione epatica risultino ancora negativi. Studi approfonditi potrebbero farli entrare stabilmente nella pratica clinica per fugare ogni dubbio sulla presenza dell’intossicazione da paracetamolo.
- Nomogramma di Rumack-Matthew: è una curva semilogaritmica che correla il tempo trascorso dall’ingestione con la concentrazione plasmatica per permettere il miglior trattamento. (è possibile utilizzarla SOLO se si conosce da quanto è avvenuta l’ingestione e l’intossicazione è ACUTA)
Il trattamento consta di:
- N-Acetilcisteina per via orale o endovena
- Carbone attivato: utilizzato se il paracetamolo è ancora presente a livello gastrointestinale.
Andrea Genovese
Voci bibliografiche
- Acetaminophen (paracetamol) poisoning in adults: Pathophysiology, presentation, and evaluation Authors: Michael J Burns, MD, Scott L Friedman, MD, Anne M Larson, MD, FACP, FAASLD, AGAF Section Editor: Stephen J Traub, MD Deputy Editor: Jonathan Grayzel, MD, FAAEM
- Mechanisms of acetaminophen-induced liver injury and its implications for therapeutic interventions. Mingzhu Yana, Yazhen Huob, Shutao Yina, Hongbo Hua https://doi.org/10.1016/j.redox.2018.04.019
- https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/traumi-avvelenamento/avvelenamento/intossicazione-da-acetaminofene-paracetamolo
Immagini:
- http://old.iss.it/binary/publ/cont/18_6_web.pdf
- https://www.mja.com.au/system/files/issues/186_07_020407/lub11145_fm.pdf