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Aprile 15, 2020

Medicina difensiva: neanche il Covid-19 risana la frattura medico-paziente

L’Italia, come il resto del mondo, sta affrontando una situazione drammatica a causa della pandemia di COVID-19, che mette a dura prova le strutture sanitarie e il personale medico. Un nemico invisibile, combattuto in prima linea da medici, infermieri e OSS che mettono a rischio la propria vita per salvare quella altrui. Eppure, nonostante l’eccezionalità del momento, fioccano le denunce contro il personale sanitario. Una situazione paradossale che ha spinto l’Ordine dei medici a chiedere al Consiglio Nazionale Forense di vigilare sul rispetto della deontologia degli avvocati ora più che mai.

Questa frattura nel rapporto tra medici e pazienti, tuttavia, non è una circostanza ex novo. Sono lontani i tempi del rispetto nei confronti dei camici bianchi e ne è una dimostrazione l’aumento dei casi di aggressione e dei contenziosi. Secondo quanto riportato da un articolo de “La Repubblica” dell’8 febbraio 2019:

“Nei tribunali italiani sono trecentomila le cause pendenti contro medici e strutture sanitarie pubbliche e private. Trentacinquemila nuove azioni legali ogni anno”.

Un clima, quindi, di forte sospetto e paura che porta i medici ad un aumento del numero di indagini diagnostiche prescritte e, contestualmente, dei costi sanitari.

“Bisogna creare un filtro tra medici e pazienti che si ritengono vittime di malasanità”

Ha dichiarato Pierpaolo Sileri, Viceministro della Salute ed ex presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato.

Qual è la relazione tra medico e paziente?

Sostanzialmente è un rapporto simile ad un contratto che inizia quando il paziente dà il consenso e il medico accetta di esercitare la sua attività professionale su di esso. Tale accordo diventa così fonte di diritti e doveri entrambi. Il medico si impegna a sfruttare nel modo migliore le proprie conoscenze per fornire i mezzi, ma non la certezza, di raggiungere dei risultati. Il paziente, invece, ha il dovere di rispettare e retribuire il medico, di seguire le sue prescrizioni e di collaborare.

Fondamentali ai fini della stipulazione del contratto sono il consenso informato del paziente e lo stato di necessità. Il medico, infatti, ha il dovere di assistere e curare nei limiti del consenso dell’assistito, non il diritto. Affinché sia valido, il consenso deve essere libero e informato ed il paziente che lo esprime deve essere pienamente capace di intendere e di volere. Richiede, quindi, una chiara ed esauriente informazione da parte del medico in merito alla diagnosi ed alle procedure terapeutiche praticabili, sottolineando come un esito positivo di queste non può essere garantito. Fanno eccezione i casi di urgenza per la vita. Infatti, quando il medico si trova di fronte a una situazione di pericolo, può e deve intraprendere qualsiasi attività di tipo diagnostico-terapeutica necessaria e indispensabile per salvargli la vita o evitargli danni alla validità psichica e/o fisica, senza dover richiedere il consenso. Per essere tale, lo stato di pericolo deve essere grave e attuale, cioè deve prospettare concretamente un danno rilevante alla persona in un arco di tempo non sufficiente a intraprendere le normali procedure consensuali.

Cos’è la responsabilità professionale?

Dal contratto deriva la responsabilità professionale, intesa come l’obbligo a rispondere delle conseguenze derivabili, direttamente o indirettamente, dalle proprie azioni nell’ambito dell’esecuzione dell’atto medico.
Da un punto di vista giuridico, essa esiste quando concorrono i tre elementi costitutivi della responsabilità medica:

  • Condotta Erronea: derivante da atteggiamenti di imperizia, imprudenza, negligenza o inosservanza;
  • Danno ingiusto al paziente derivante da condotta erronea;
  • Rapporto causale tra condotta e danno, dimostrabile attraverso una modalità scientifico-clinica.

Per essere rilevante ai fini della responsabilità, la condotta deve essere ritenuta colposa, cioè deve essere effettuata con coscienza e volontà ma l’evento negativo che si verifica è contro la sua intenzione.
La condotta colposa si può verificare se il medico non ha le conoscenze per superare un determinato problema (Imperizia) o non ha saputo valutare le conseguenze di un atto medico (Imprudenza) o ha avuto un comportamento negativo ed omissivo nel suo rapporto col paziente (Negligenza).
Ognuno di questi tre scenari va a costituire una colpa generica. Se invece il medico è responsabile dell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline viene accusato di colpa specifica. La differenza sta nel fatto che la colpa generica va dimostrata, mentre la sola presenza di inosservanza dimostra la presenza di colpa specifica.
Bisogna inoltre dimostrare la presenza di un danno che non si sarebbe verificato se il medico avesse agito in modo diverso (danno ingiusto) e il nesso causale tra la condotta e il danno.

La medicina difensiva

La responsabilità professionale e l’aumento drastico di procedimenti giudiziari nei confronti dei medici ha causato negli ultimi decenni il fenomeno della medicina difensiva.
Con questo termine si intendono tutte quelle azioni che un medico attua per difendere e tutelare sé stesso da eventuali danni al paziente che potrebbero derivare da negligenze mediche.
La medicina difensiva può essere positiva o negativa.
Il primo caso si ha quando il medico prescrive esami diagnostici o terapie non necessarie e superflue per ridurre la possibilità che un paziente possa in futuro fare causa per imperizia o negligenza.
Si parla invece di medicina difensiva negativa quando il medico decide di non ricorrere ad una cura a favore del paziente per non incorrere in possibili esiti negativi derivanti dalla cura stessa.

La Legge Balduzzi

L’8 novembre 2012 viene emanata la Legge Balduzzi con lo scopo di contrastare il dilagante fenomeno della medicina difensiva. L’Art.3 prevede che:

“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.

Da un punto di vista della responsabilità civile:

“Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Quando si parla di colpa, bisogna distinguere tra colpa lieve e colpa grave. Per stabilire di quale delle due si tratti bisogna considerare:

  • Quanto la condotta tenuta sia divergente da quella che si doveva applicare;
  • La motivazione della condotta;
  • Quanto poteva essere prevedibile ed evitabile l’evento.

Semplificando, si tende a definire una colpa lieve quando l’errore è scusabile nei casi più complessi, in cui l’esito del trattamento non è certo, e una colpa grave quando l’errore è macroscopico.

La Legge Gelli-Bianco

Tuttavia, molti giuristi italiani hanno espresso a gran voce l’inidoneità e la superficialità di un simile testo che, come è avvenuto, avrebbe portato a discrasie ed applicazioni differenziate.
Si è arrivati, quindi, alla Legge Bianco-Gelli del 1 Aprile 2017.
Tale norma prevede che il medico che per imperizia provoca un danno a un paziente non è punibile penalmente nel caso in cui abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche assistenziali. Quindi, l’errore del medico causato dalla sua mancanza di abilità o di preparazione specifica verrà punito penalmente solo in caso di colpa grave.  La legge Gelli cambia anche la responsabilità civile del medico, che diventa extracontrattuale. Spetterà, quindi, al paziente che ritiene di aver subito il danno dimostrare che la colpa è del medico che l’ha curato. Per la struttura ospedaliera, invece, la responsabilità civile resta di tipo contrattuale, quindi sarà questa a dover dimostrare di non avere responsabilità. In questo modo il paziente che vuole ottenere un risarcimento è incentivato a rifarsi prima sul soggetto economicamente più solido, ovvero la struttura pubblica. Per il medico privato, invece, la responsabilità resta di tipo contrattuale, e non potrebbe essere altrimenti visto che questo instaura con il paziente un tipo di contratto differente.

La medicina difensiva è stata ed è ancora un problema per la sanità italiana e le conseguenze sono negative sia per il paziente che per tutta la società. Si calcola, infatti, che ogni anno il surplus di spesa sanitaria connessa alla medicina difensiva sia di vari miliardi di euro. Allo stesso modo scende la qualità del servizio offerto, basti pensare alle lunghe liste di attesa. Tuttavia, questo problema non è percepito dalla maggior parte dei cittadini per la scarsa informazione esistente in merito, e gli ultimi casi di sciacallaggio giuridico ne sono la prova.

Coronavirus, Medicina legale
About Silvio Caringi
Nato a Isola del Liri (Fr) ma vivo stabilmente a Roma. Laureato in Medicina e Chirurgia con votazione 110/110 all'Università di Roma "Tor Vergata". In attesa di abilitazione all'esercizio della professione medica. Internato nel reparto di Chirurgia d'Urgenza.

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