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Aprile 1, 2020

Il peso d’essere donna

“La donna ha l’istituto, ha l’arte del medicare, anche quando non ha la scienza; ma questa potendosi avere da ogni cervello sano, ne viene che essa costituisce il medico perfetto; mancando spesso nell’uomo l’arte, spessissimo il cuore”.

Queste, le parole con cui l’igienista Paolo Mantegazza,  nel suo libro “le tre Grazie” affermava la sua idea di donna nelle vesti di medico. Era l’ Italia del 1883.

Solo 4 anni più tardi, presso l’ Istituto di Studi Superiori Fiorentino, si laureava la prima donna in Medicina e Chirurgia, Ernestina Paper, dopo la nascita dello stato unitario, seguita un anno più tardi da Maria Farné Velleda a Torino.

Nonostante le basi più che allettanti per la figura della donna medico, questa com’è evoluta?

Attualmente se dovessimo descriverla, le parole più adatte per delinearla sarebbero:

“impegnata, competitiva, preparata, permeabile ai modelli di successo e carriera, attiva nel conciliare le sue molteplici sfaccettature e ruoli sociali (moglie, madre, nonna), entusiasta del suo lavoro.”

Paradossalmente, nonostante le mille peripezie che le donne debbano affrontare per affermarsi nella loro carriera lavorativa, esse rappresentano l’attuale forza lavoro complessiva sanitaria.

Nei Paesi OCSE, la quota di dottoresse è cresciuta nel tempo: era del 29% nel 1990, al 38% nel 2000 e al 46% nel 2015. E si prevede che questa tendenza al rialzo continui in futuro. Per quanto evidente l’incremento, questo è pari alla penuria dell’occupazione in mansioni altamente qualificate quali la chirurgia.

Gaya Spolverato, specialista in chirurgia oncologa e Isabella Frigerio, specialista in chirurgia generale, sono le confondatrici di Women in Surgery Italia. La chirurga oncologa spiega nell’intervista de “il Messaggero” che la loro associazione nasce per raccogliere le discriminazioni e provare a difendere le donne che svolgono la professione di chirurgo. La stessa afferma che in prima persona ha subito azioni volte ad allontanarla dal suo sogno di diventare chirurga di mestiere.

Tra i 30 e 40 anni, le donne sono notevolmente svantaggiate rispetto agli uomini nell’avanzamento di carriera. La ragione è  dovuta al fatto che le leggi a tutela della maternità in Italia sono poco tutelanti la classe dei camici rosa. Secondo le quali, le donne che rivestono “professioni a rischio” sono esentate dall’attività e non possono lavorare per tutto il periodo della  gravidanza e i successivi 3/4 mesi post partum, mettendo in crisi il reparto di competenza, soprattutto se si svolge l’attività di chirurgo.

Il gender gap è un dato di fatto che nemmeno la dottoressa Spoverato pensa che possa evolvere in futuro. Tale divario è presente non solo nel settore medico ma anche nell’ambito della ricerca di fatti è estremamente  difficile ottenere finanziamenti a causa del motto “meno pubblichi, meno sei conosciuto”.

Ancora più critico sembra delinearsi il quadro se si aggiunge anche il sexual harrassment.  Secondo le statistiche  riportate da un articolo del New England Journal of Medicine si parla di 1 caso ogni 3 professioniste per quanto concerne l’America. Tuttavia in Italia non esistono dati a tal proposito, ma ciò non esclude la possibilità di un quadro simile a quello emergente negli Stati Uniti.

La disparità tra i generi, nell’ascesa professionale, non è un fenomeno che si osserva solo in Italia ma ha una diffusione mondiale e interessa quasi  tutti gli ambiti.

Un recente report della Royal Society of Chemestry ha preso in considerazione più di 700.000 studi  tra il 2014 e il 2018 per  la determinazione di genere degli autori. Dall’analisi è emerso che il 36% degli autori degli studi inviati era di sesso femminile ma che di questi solo il 23% era stato accettato per la pubblicazione e inoltre si preferisca citare colleghi piuttosto che studi condotti da colleghe.

Dissonante è l’opinione a tal proposito di David Smith, il quale afferma che l’inclusione delle pubblicazioni scientifiche potrebbe solo far migliorare la Scienza e non limitarla, incentivando le pubblicazioni rosa.

Stando ai dati di Anaao-Assomed, alle donne appare ancora preclusa la possibilità di fare carriera: solo una su 50 diventa Direttore di Struttura Complessa e 1 su 13 responsabile di Struttura Semplice.

Nonostante il divario palese che è presente nell’ambito scientifico, c’è da chiedersi quanto ancora le donne vogliono sottostare alle rigide regole della casta e quanta voglia hanno di cambiare il modus operandi vigente.

La donna da sempre è un “continuo divenire“, non poche sono state le battaglie che ha dovuto combattere per il suo posto nel mondo e tante altre ne dovrà affrontare, questa solo l’ennesima.

 

Valentina Trombetta

Medicina di Genere , ,
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