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Maggio 4, 2020

Anestesia: don’t panic

Anestesia indica genericamente l’abolizione della sensibilità, della coscienza e del dolore, associato a rilassamento muscolare. Dal gr. anaisthēsía ‘insensibilità’, der. di aísthēsis ‘sensazione’, col pref. an- priv. 1865.


È una delle procedure che spaventa di più in ambito sanitario, a volte anche più dell’operazione chirurgica che solitamente segue. Comprendendone i principi generali si può affrontare più serenamente l’iter terapeutico.

Un po’ di storia

Circa 5 mila anni fa gli Assiri stordivano i pazienti da operare comprimendone la carotide o stringendo la parte da operare con un laccio fino a farle perdere sensibilità. Gli Egizi per primi intuirono il potere anestetizzante del freddo e usarono acqua ghiacciata e neve per inibire la sensibilità della parte da tagliare. Per l’amputazione usavano la pietra di Melfi, una roccia ricca di silicati che si diceva potesse desensibilizzare la regione da operare. Fuori da queste pratiche, vigeva la legge della botta in testa: il metodo più immediato per assicurarsi che il malcapitato perdesse conoscenza.

Lo sviluppo delle scienze erboristiche portò a sfruttare le proprietà di alcune piante, come l’oppio, ricavato incidendo le capsule non ancora mature del Papaver somniferum, e raccogliendone il lattice. Un uso eccessivo della sostanza era già conosciuto all’epoca dei Romani e dei Greci e tra coloro che ne abusavano c’era l’imperatore romano Marco Aurelio (121-180 d.C.) che è considerato da alcuni storici uno dei primi politici oppiomani.

Uno degli anestetici naturali che ebbe più fortuna in antichità fu la mandragora, una radice appartenente alla famiglia delle Solanaceae, in onore della quale il medico greco Dioscoride (I secolo d.C.) usò per la prima volta il termine anaisthesia (mancanza di sensazioni). La forma curiosa della radice, simile a un corpo di donna, e il suo potere anestetico contribuirono a creare intorno a questa pianta un’aura quasi magica (e nel caso ve lo stiate chiedendo, no, la mandragora non urla quando la raccogliete dal terreno).

I viaggi nel Nuovo Mondo diedero alle discipline farmaceutiche medievali una svolta, nell’ambito della lotta al dolore, tra questi ricordiamo: le foglie di coca masticate dai nativi americani per non sentire la fatica e la Strychnos toxifera, una liana della foresta amazzonica da cui si estrae il curaro. Per comprendere l’esatto meccanismo di azione del curaro su muscolatura e sistema nervoso sarebbero serviti ancora alcuni secoli.

Un’altra svolta importante nelle procedure anestetiche avvenne nell’Ottocento, con lo studio delle proprietà dei gas. Importanti sperimentazioni arrivarono nel campo della chirurgia odontoiatrica. Fino a quel momento, le estrazioni dentarie erano praticate per lo più senza. Nel 1847 il dentista americano Horace Wells sperimentò per primo e in prima persona le virtù anestetiche del protossido di azoto, o gas esilarante, facendosi estrarre un dente del giudizio che gli doleva da tempo.

Nel frattempo, un altro dentista statunitense, William Green Morton, stava sperimentando le virtù anestetiche dell’etere. Il 16 ottobre 1846 ne diede pubblica dimostrazione in una sala del Massachusetts General Hospital. L’operazione fu un successo: Morton fece respirare al paziente i fumi di una spugna imbevuta di etere attraverso una sfera di vetro. Dopodiché il famoso chirurgo John Collins Warren asportò un tumore del collo al volontario, il signor Albert Abbott, che non provò alcun dolore.

Al giorno d’oggi, le tecniche anestetiche sono svariate: disponiamo di anestesia generale, anestesia loco-regionali, anestesia subaracnoidea, anestesia peridurale, anestesia dei nervi ed anestesia locale. Queste tecniche vengono praticate con un ampio margine di sicurezza grazie agli enormi progressi tecnico-farmacologici dell’ultimo secolo.

Tecniche anestesiologiche

Le principali tecniche anestesiologiche sono:

Anestesia generale: è definita come uno stato di incoscienza reversibile farmaco-indotto con ipnosi, amnesia, analgesia ed eliminazione della risposta del paziente agli stimoli dolorosi, associati a volte a rilasciamento muscolare. A seconda se l’anestetico venga somministrato sotto forma di vapore attraverso le vie aeree e i polmoni, in forma liquida direttamente in vena, o attraverso entrambe le vie, l’anestesia generale si distingue in:

  1. Anestesia generale inalatoria
  2. Anestesia generale endovenosa
  3. Anestesia generale bilanciata

Anestesia loco-regionale: consiste nella deposizione in prossimità di una terminazione nervosa di anestetici locali, che bloccano temporaneamente e reversibilmente la propagazione dell’impulso dolorifico nervoso verso il sistema nervoso centrale. I principali tipi di anestesia loco regionale sono:

  1. Anestesia topica
  2. Anestesia per infiltrazione
  3. Blocchi neurassiali: anestesia spinale (subaracnoidea) e peridurale
  4. Blocchi nervosi periferici. Arto superiore ed inferiore
  5. Blocchi del tronco
  6. Blocchi della parete addominale

Prima di arrivare al tavolo operatorio è necessario studiare la condizione clinica del paziente attraverso la valutazione anestesiologica.

La valutazione preoperatoria sarà estensiva o sommaria a seconda del carattere di elezione o di urgenza/emergenza richiesto. Una prima valutazione consiste nella stratificazione del rischio generico e specifico per ogni singola patologia specialistica; da anni si cerca di inquadrare la condizione clinica del paziente in una classe elaborata dall’ASA (American Society of Anestesiologists) dalla prima alla quinta. Nella sua “semplicità” la classificazione ASA riesce ad essere abbastanza precisa e corrispondente alla morbilità e mortalità attesa. La gravità del paziente non determina necessariamente l’impossibilità di effettuare un intervento chirurgico, ma impone una preparazione medica e fisioterapica preoperatoria atta a ridurre alcuni rischi e far raggiungere un certo grado di consapevolezza dei risultati post-operatori. A prescindere dalle condizioni generali del paziente e dal tipo di chirurgia da effettuarsi, una delle maggiori preoccupazioni per l’anestesista consiste nella valutazione della possibilità di effettuare manovre e tecniche anestesiologiche (valutazione somatica per l’anestesia locoregionale, valutazione della ventilabilità e intubabilità per l’anestesia generale). Saranno valutati:

  • L’apertura della rima buccale con la classificazione di Mallampati ed eventuale score di Cormack – Lehane (dopo videolaringoscopia)
  • ECG, eventuale valutazione cardiologica
  • RX torace
  • Eventuale valutazione pneumologica
  • Esami ematochimici, diversi a seconda dello score ASA del paziente e del tipo di operazione.

Il digiuno preoperatorio di 12 ore non ha alcun fondamento scientifico; esso deve essere sostituito con la possibilità di bere tè o liquidi chiari fino a dure ore dall’intervento.

La valutazione anestesiologica si conclude con il giudizio di fattibilità della procedura, l’assegnazione del paziente ad una classe di rischio operatorio, il suggerimento del tipo di anestesia più idoneo per lo specifico paziente e del tipo di procedura e la programmazione dei tempi di esecuzione della stessa, oltre alla previsione della terapia antalgica al termina di quanto effettuato.

Farmaci utilizzati

Le diverse classi di farmaci sono utilizzate per ottenere le tre fasi principali dell’anestesia:

  • L’induzione
  • Il mantenimento
  • Il risveglio

L’induzione è ottenuta utilizzando farmaci della classe degli ipnotici, di cui il farmaco di riferimento è il propofol. Esso può essere utilizzato anche durante la fase del mantenimento e in associazione con un oppioide (fentanyl, remifentanil) è alla base della moderna anestesia totalmente endovenosa. I principali effetti collaterali sono ipotensione, riduzione della gittata cardiaca, diminuita sensibilità all’ipossia, depressione respiratoria, sindrome da infusione di propofol e bruciore durante la somministrazione endovenosa. Nell’anestesia generale per favorire l’intubazione si somministrano farmaci della classe dei miorilassanti di cui fa parte il sugammadex. Prima dell’induzione è preferibile effettuare una premedicazione, questa consiste nella somministrazione di benzodiazepine per gestire l’ansia del paziente, l’atropina per ridurre le secrezioni provenienti dall’apparato respiratorio e farmaci antiemetici e gastroprotettori. Il mantenimento può essere praticato per via endovena e/o via inalatoria. I gas anestetici più utilizzati sono gli alogenati di cui fanno parte l’isoflurano, il sevoflurano ed il desflurano, la loro potenza viene identificata con la sigla MAC (Minimum Alveolar Concentration) che corrisponde alla minima concentrazione alveolare necessaria per inibire la risposta allo stimolo nocicettivo nel 50% dei soggetti. Più bassa è la MAC più potente e il farmaco. In alternativa è presente il protossido d’azoto che però per i suoi effetti collaterali e la sua minore maneggevolezza rispetto ai precedenti ha un uso limitato. Il risveglio si conclude con la ripresa delle funzioni vitali, coscienza e respirazione, successivamente verrà garantito al paziente l’analgesia postoperatoria. In base al tipo di chirurgia (minore, media e maggiore) e alla scala VAS (visuale analogica) sarà stabilità la terapia post-operatoria con l’adeguata via di somministrazione utilizzando paracetamolo, FANS e/o oppioidi.

Durante tutta la procedura chirurgica il paziente è costantemente monitorato attraverso le strumentazioni in dotazione all’anestesista.

In anestesia loco regionale i farmaci utilizzati sono gli anestetici locali che agiscono su ogni parte e su ogni tipo di fibra del tessuto nervoso in modo reversibile e prevedibile, senza lasciare danni strutturali. Questa classe blocca la conduzione nervosa ostacolando la propagazione del potenziale d’azione lungo l’assone. La potenza anestetica è legata direttamente alla liposolubilità del farmaco. Vengono classificati in due categorie:

  • Aminoesteri
  • Aminoamidi

Gli anestetici locali di più largo impiego sono: lidocaina, mepivacaina, bupivacaina, levobuvicaina ed altri. È possibile associare le classi di farmaci sopradescritte per favorire le procedure chirurgiche.

Rischi? Effetti collaterali?

In genere i rischi legati all’anestesia sono bassi, e dipendono non tanto dall’anestesia in sé, ma dalle condizioni fisiche del paziente e dalla gravità dell’intervento stesso. Non esiste il rischio zero: anche se rare vi possono essere reazioni avverse ai farmaci con sviluppo di uno shock anafilattico potenzialmente mortale, così come una imprevista aritmia può essere non reversibile. Sono comunque eventi rarissimi, così come l’ipertermia maligna, legata ad un difetto congenito del metabolismo del calcio. Gli effetti collaterali sono minimi:

  • Bocca secca
  • Amnesia di breve durata al momento del risveglio
  • Senso di irritazione alla gola se è stata utilizzata l’’intubazione tracheale, indispensabile nella maggior parte dei casi per garantire la pervietà delle vie aeree e la prevenzione dell’inalazione nelle vie aeree di materiali e liquidi provenienti dallo stomaco
  • Nausea e vomito che però possono essere prevenuti e trattati

L’anestesiologia moderna, nonostante sia una disciplina relativamente giovane, ha fatto e fa tutt’ora passi da gigante per rendere le procedure sempre più sicure. Essere idoneamente informati sulle operazioni che verranno effettuare è un diritto fondamentale del paziente ed un dovere del professionista sanitario. Pertanto, non esitate e abbiate fiducia in chi lavora per migliorare la vostra qualità di vita.

Andrea Genovese

Riferimenti bibliografici

  • https://www.focus.it/scienza/salute/storia-dellanestesia
  • http://www.treccani.it/vocabolario/anestesia/
  • http://www.anestesiaweb.it/inc/anestesia_web_file.htm
  • “Manuale di anestesia rianimazione e terapia intensiva” V. Marco Ranieri, L. Mascia, L. Tritapepe ISBN: 978 88 214 4782 2 Edizioni Edra.
Anestesia e Rianimazione
About Andrea Genovese
Ciao! Mi chiamo Andrea e sono uno studente di medicina dell'Università degli Studi di Salerno. L'area dell'emergenza urgenza mi ha affascinato fin da subito e vorrei condividere questa mia passione con voi !

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