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Ottobre 21, 2020

Alzheimer, a che punto siamo?

Le malattie neurocognitive sono al giorno d’oggi uno dei fronti principali contro cui la medicina moderna si batte. L’ormai approfondita comprensione delle patologie ci permette di studiare tecniche di farmacologia potenzialmente efficaci; tuttavia le sperimentazioni nel campo dell’Alzheimer (e in tutto il campo della neurologia) si rivelano spesso ingannevoli, ed ad un iniziale entusiasmo segue quasi sempre un fermo scientifico e clinico della ricerca.

Il morbo di Alzheimer-Perusini

È una demenza degenerativa invalidante con esordio presenile (dopo o intorno ai 65 anni). Conosciuta ormai in tutto il mondo come la forma più comune di demenza, si stima che nel 2006 i malati di Alzheimer fossero 26 milioni e che entro il 2050 il MA colpirà 1 persona su 85.

Storia della malattia

Nel 1901 lo psichiatra tedesco Alois Alzheimer notò una sospetta amnesia su una sua paziente di 51 anni di nome Auguste D, da lui registrata come disordine da amnesia di scrittura. La paziente Auguste D. fu il primo soggetto a cui venne diagnosticata quella che noi oggi conosciamo come malattia di Alzheimer.

Un compito fondamentale per la medicina moderna fu svolto da Gaetano Perusini. Il giovane neurologo udinese raccolse una grande mole di dati e informazioni su casi clinici simili a quelli di Auguste D.

Per la prima volta nel 1910 la patologia venne inserita nel Manuale di Psichiatria di Emil Kraepelin.

Eziologia

La demenza di Alzhemier è un processo degenerativo che pregiudica la funzionalità delle cellule cerebrali in modo continuo ed irreversibile.

Questo tipo di demenza è considerata una malattia moderna poiché individuata per la prima volta solo nel 1901. Tuttavia questa comune credenza è errata. La mancanza di letteratura scientifica sulla demenza di Alzheimer prima del ‘900 non esclude che la patologia non esistesse fin dai tempi più remoti. Alcuni elementi hanno però impedito un riconoscimento chiaro e dettagliato;

  1. Salvo eccezioni di esordio precoce una delle principali caratteristiche della malattia di Alzheimer è l’insorgenza in età presenile (65 anni). Anticamente l’età media era molto più bassa (Tardo paleolitico 33 anni, Roma classica 40 anni, Medioevo 50 anni). Risulta evidente che l’epoca moderna concedendo una maggiore longevità ha portato alla luce una serie di patologie ad insorgenza presenile e senile prima sconosciute.
  2. Tra il 1800 e il 1900 casi di sospetta amnesia o comportamenti anomali venivano  spesso etichettati come malattie psichiatriche date le scarse conoscenze in neurologia. Questo ha “insabbiato” la letteratura scientifica fino al 1901.

Nella maggior parte dei casi l’insorgenza della malattia è sporadica, tuttavia nel 5-15% dei casi gioca un ruolo chiave la genetica. Familiari affetti dall’AD aumentano notevolmente la probabilità di possedere una mutazione genica. Sono almeno 5 i diversi loci genici localizzati sul cromosoma 1, 12, 14, 19 e 21 che influenzano marcatamente insorgenza e decorso della malattia.

Le mutazioni geniche che coinvolgono presenilina I e presenilina II (precursori dell’amiloide) possono alterare il meccanismo di processazione della proteina precursore dell’amiloide portando cosi al deposito e all’aggregazione di fibrille di β-amiloide.

Le β-amiloidi non sono altro che porzioni “libere” della proteina d’origine in grado di aggregarsi con altri peptidi formando placche dense e ricoprire le cellule neuronali.

Nei casi di AD sporadica genetica e ambiente rappresentano fattori di rischio. La mutazione più nota interessa l’allele e4 dell’apoliproteina E.

Fisiopatologia

  1. Depositi di β-amiloide con annessa diminuzione dei livelli di acetilcolina che impediscono al neurone di trasmettere gli impulsi nervosi.
  2. Grovigli neurofibrillari (filamenti elicoidali accoppati) causati dall’accumulo della proteina Tau.

Caratteristiche cliniche

La progressione dell’AD è lenta ma inarrestabile, con un decorso sintomatico che spesso supera 10 anni. I sintomi iniziali sono i disturbi della memoria a breve termine e di altre funzioni cognitive. Con l’avanzare della patologia emergono altri sintomi, tra i quali disturbi del linguaggio, perdita delle attività logico-matematiche e delle abilità motorie acquisite.

I principali studi clinici interessano pazienti con AD ai primi stadi e la strategia terapeutica è rivolta alla rimozione di accumuli di β-amiloide tramite approcci immunologici.

Sintomatologia

  • Perdita di memoria
  • Disorientamento spazio-temporale
  • Alterazioni dell’umore
  • Agonsia
  • Afasia
  • Aprassia
  • Aggressività

La proteina Tau

Secondo una ricerca del Georgetown University Medical Center di Washington la principale responsabilità della patogenesi del morbo di Alzheimer sarebbe attribuibile alla proteina Tau, che normalmente contribuisce alla formazione del citoscheletro cellulare e alla corretta eliminazione di residui tossici intracellulari.

Quando però la proteina è anomala, probabilmente per cause genetiche l’eliminazione degli scarti metabolici viene meno. Si verifica così l’accumulo di proteine citotossiche, tra cui la β-amiloide. La cellula tenta comunque di eliminare queste sostanze, ma i pattern di default sono compromessi e non riesce quindi a smaltire la β-a. che essendo una sostanza appiccicosa ed aderente si accumula formando le famose placche.

A livello terapeutico esperimenti murini con protagonista il nilotinib (inibitore della tirosina chinasi giù usato in trattamenti oncologici) hanno mostrato che il farmaco può impedire la morte neuronale, ma solamente se nella cellula nervosa c’è ancora una percentuale abbastanza alta di proteina Tau ben funzionante.

Un intervento farmacologico per salvaguardare la proteina Tau sarebbe utile anche per la cura di altre patologie neurodegenerative come la demenza frontotemporale (demenza frontotemporale e parkinsonismo associata al cromosoma 17) associata ad un malfunzionamento della Tau.

Ipotesi dopaminergica

Nel 2017 è stata formulata l’ipotesi che la malattia sia dovuta alla morte dei neuroni dell’aria segmentale ventrale deputati alla produzione di dopamina.

Nelle prime fasi della malattia, infatti, si registra la morte dei neuroni dopaminergici nella zona tegmentale ventrale del cervello: questo genera deficienza del neurotrasmettitore nell’ippocampo, Lo studio  è stato eseguito somministrando a topi che presentavano mancanza dell’enzima tirosina-idrossilasi positivo, L-Dopa, precursore della dopamina, e selegilina, inibitore delle MAO-B, gli enzimi atti al catabolismo della dopamina. Le cavie hanno dimostrato recupero quasi totale della memoria e delle facoltà motivazionali.

Diagnosi

La diagnosi della malattia è basata quasi interamente sulla storia cinica del paziente, dalle osservazioni cliniche e dalla presenza distintiva di determinati elementi neurologici e neuropsicologici.

L’avanzato imaging biomedico ha permesso una diagnosi certa e sicura attraverso le varie TC, MRI, SPECT e PET.

Terapia farmacologica

Non esiste tutt’ora una terapia per l’AD, tuttavia gli interventi farmacologici intervengono sulla fisiopatologia della malattia.

  • Utilizzo degli inibitori della colinesterasi per compensare la diminuzione dei livelli di acetilcolina.
  • Utilizzo di memantina che agisce direttamente sul sistema glutamatergico.

Prognosi

L’aspettativa di vita media nei pazienti affetti da AD è di circa 10 anni. La malattia è la causa di morte nel 70% dei casi. La polmonite e la disidratazione sono le cause immediate più frequenti di morte, mentre il cancro è meno frequente rispetto alla popolazione generale.

Uno sguardo al futuro

Ad oggi l’Alzheimer è una malattia incurabile. La prospettiva migliore è di certo l’ingegneria genetica e tutto ciò che ne consegue. I malfunzionamenti della proteina Tau potrebbero essere riparati “in locus” con tecniche sempre più raffinate  e precise di manipolazione genica.

Federico Ricerca

 

Bibliografia

Neurologia
About Federico Ricerca
Studente di medicina. Appassionato di chirurgia, biologia e divulgazione scientifica.

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